Ricorreva nel 1911 il cinquantenario dell'Unità d'Italia proclamata a Torino il 17 marzo 1861 designando Roma a capitale, per quanto non ancora annessa al territorio italiano. L'evento venne celebrato con una serie di mostre etnografiche, la più nota della quale a Roma in uno spazio ai margini del Tevere allora libero da urbanizzazione, edificando in legno e gesso dei padiglioni destinati ad essere smantellati al termine delle celebrazioni. Un padiglione potrebbe sembrare familiare a chi ha studiato la storia della marineria e della pesca nel Mediterraneo. Riprende fedelmente le forme e lo stile della Pescheria di Rialto di Venezia, edificata solamente quattro anni prima ma in stile gotico antico.

Si tratta infatti del padiglione dedicato alla pesca, considerata non a torto una delle attività più importanti e rappresentative dell'Italia, una lunga penisola che si estende da nord a sud est venendo abbracciata da ogni parte dal Mediterraneo, quello che nell'antica Roma veniva definito Mare Nostrum. Ma si pose l'accento non solamente sulle attività industriali e commerciali ma anche e soprattutto sugli esseri umani che ne erano protagonisti. Fu per questo deciso che il loggiato del padiglione sarebbe stato decorato con dipinti su tela che illustravano il ciclo della pesca, alternati ad altri che ritraevano dei pescatori assieme al loro pescato e agli attrezzi da loro utilizzati.

Il materiale raccolto avrebbe dovuto essere e fu in effetti il nucleo di quello che divenne, ad opera dello studioso Lamberto Loria, il Museo di Arti e Tradizioni Popolari, attualmente accorpato al grande complesso del Museo delle Civiltà. Si trova a Roma in edifici costruiti per una altra grande mostra, l'Esposizione Universale di Roma (Eur, come ancora oggi si denomina il quartiere). Era  prevista nel 1942 ma non si tenne a causa del conflitto mondiale scoppiato nel 1939.

In quella occasione nel grandioso salone d'onore di quello che sarebbe poi stato il Museo vennero collocati grandi affreschi che rappresentavano alcune delle più importanti attività umane e anche qui uno spazio importante è dedicato alla vita marinara, con la vivida raffigurazione della mattanza dei tonni dell'artista calabrese Pietro Barillà (1887-1956).

Sono inoltre tuttora esposti nel Museo stesso numerosi modelli di battelli da pesca artigianale, mossi da vele o da remi, reti e attrezzi di vario genere, provenienti spesso dalle acquisizioni del 1911. Testimoni di sistemi di pesca ancora a misura di uomo e soprattutto – questo va detto – a misura della fauna marina mentre oggi la tecnologia ha permesso il ricorso a sistemi troppo spesso predatori, senza alcun pensiero per il domani e senza rispetto per la dignità di ogni specie vivente.

Il Ciclo della pesca creato nel 1911, opera dell'artista romano Umberto Coromaldi (1870-1948), rimase invece a lungo disperso. Infine ritrovato quasi integro ma in condizioni degradate presso il CREA (un istituto di ricerca e analisi dell'economia agricola) venne affidato per un impegnativo  restauro all'ICR, Istituto Centrale per il Restauro (la foto seguente proviene dalla pagina Facebook dell'Istituto). E sarà presto di nuovo fruibile al pubblico, permettendo di gettare uno sguardo sull'importante passato della pesca artigianale in Italia, ma forse anche di innescare attente riflessioni rivolte al futuro. In Italia, in Europa, nel mondo.

Operazioni di restauro presso la sede dell'iCR

Una recente pubblicazione, Il Ciclo della Pesca di Umberto Coromaldi nell'Esposizione romana del 1911 (ISBN 978-88-492-5244-6) ci permette di conoscere la storia del ritrovamento e del restauro, e soprattutto di poter approfondire la storia e la genesi di questa importantissima testimonianza. Nelle prossime pagine esamineremo più in dettaglio alcuni dei cinque pannelli (su sei) che è stato possibile recuperare, assieme ad alcuni tra i ritratti – idealizzati ma pur sempre significativi – di pescatori.

Le immagini che corredano questo articolo provengono in parte dalla pubblicazione menzionata, in parte dal pubblico dominio. Altre infine sono state scattate di persona dall'autore presso la sezione Museo delle Arti e Tradizioni Popolari del Museo delle Civiltà di Roma, nell'agosto 2025. Anche in questo ciclo, e non poteva mancare per la sua spettacolare drammaticità ma anche per il suo affondare le radici in tradizioni ultramillenarie appare La mattanza dei tonni. Un tema che ricorre spesso nelle rappresentazioni artistiche, che ci permette di esaltare il coinvolgimento di intere comunità verso uno stesso obiettivo e il sostanziale loro rispetto del ciclo naturale delle creature marine, sia pure spesso in gran parte dovuto alla assenza in quei tempi delle più efficaci ma più distruttive tecnologie moderne .

Illustreremo nel prosieguo dell'articolo, per quanto sinteticamente, il Ciclo della Pesca di Umberto Coromaldi tentando di porne in evidenza sia il valore artistico che quello documentale e soprattutto quello emozionale, pemettendoci di rivivere a distanza di oltre 100 anni il lavoro quotidiano, duro ma proficuo e sostenibile, dei pescatori del secolo passato.

Va detto subito che non è ancora possibile usufruire del Ciclo della Pesca nella sua integrità: dovrà essere allestita una sala dedicata ove poter esporre tutte le opere, mentre al momento la tela rappresentante La mattanza dei tonni è esposta nel salone d'onore del Museo di Arti e Tradizioni Popolari e La sciabica nell'atrio.

L'assieme del Ciclo della Pesca (op. cit. p. 31). L'immagine in bianco e nero rappresenta una tela andata perduta

L'opera La sciabica, un cui particolare viene rappresentato nella copertina del libro citato, ci permette di gettare uno sguardo su un altro tipico sistema di pesca artigianale e tradizionale: la sciabica appunto. Si tratta di una rete che viene gettata dalla riva descrivendo un semicerchio quanto più possibile ampio, e viene poi tirata a braccia sulla spiaggia. Non è un metodo  applicabile su scogliere o su specchi d'acqua profondi, era infatti una tecnica molto diffusa sulle distese sabbiose del mare Tirreno nei dintorni di Roma, ove è possibile data la scarsa profondità posizionare la rete spostandosi a piedi nell'acqua, poiché non necessariamente prevede l'uso di un battello o di una semplice barca. L'ambiente in cui si muovono i pescatori intenti al ritiro della rete, ne vediamo solo alcuni, richiama infatti con la sua bassa vegetazione mediterranea il litorale del Lazio. Ma si tratta di un metodo di pesca largamente utilizzato dalla primavera inoltrata all'inizio dell'autunno anche altrove, per esempio sulle coste del mare Adriatico. E' spesso presente nelle opere pittoriche di altri artisti in quanto molto rappresentativo della cooperazione tra esseri umani volta a superare i limiti del singolo.

Per quanto si tratti di un metodo potenzialmente invasivo, in quanto cattura prevalentemente esemplari giovanili che si trattengono in prossimità della riva, la totale manualità della tecnica fa sì che la catture sia difficilmente importanti e di conseguenza l'impatto sia sostenibile, a condizione che non vi sia un eccessivo uso della sciabica concentrato su zone ristrette.

Fotografia dell'opera esposta nel 1911, appartenente alla Fototeca Vaticana e pubblicata nel libro

Il pannello La sciabica esposto al giorno d'oggi presso il Museo.

Il pannello dedicato alla Uscita in mare, qui volutamente mostrato nelle condizioni in cui era prima del restauro, conferma quanto già era evidente vedendo nel pannello precedente i pescatori intenti a recuperare le reste (funi) della sciabica. Si tratta di attività assolutamente artigianali, che possono contare su mezzi modesti e sulla sola forza motrice degli esseri umani e quindi già per questo meno invasive, ma anche svolte con maggiore attenzione alla conservazione del patrimonio ittico che fornisce alla comunità cibo e materia di scambio, così come fatto da sempre dagli antenati.

L'uscita in mare all'alba

Segnaliamo all'attenzione dell'osservatore un'altra opera del ciclo di Coromaldi: Lo sbarco. Il pescato non è in quantità tale da mettere a rischio la fauna, e viene raccolte con cura sia da uomini che da donne, uniti nel lavoro.

Lo sbarco del pescato. Particolare

A destra dell'opera si intravedono alcuni battelli a vela, di dimensioni superiori alla piccola barca a remi che abbiamo potuto vedere nella Uscita in mare ma pur sempre nemmeno lontanamente paragonabili agli enormi battelli a motore utilizzati oggigiorno dalla pesca industriali.

Lo sbarco del pescato. particolare

Un modello presente nella sezione del Museo dedicata alla pesca ci aiuta a valutare queste imbarcazioni. Nella foto è raffigurato infatti il modello di un tipico battello da pesca del mare Adriatico, il bragozzo veneto.

Le sei grandi  tele che rappresentano le attività di pesca sono molto realistiche e apparendo spontanee, quasi fotografie istantanee, fanno pensare a un intenso lavoro di ricerca e osservazione sul campo. Non era del resto la prima volta che Umberto Coromaldi assieme a molti altri temi di etnografia contemporanea trattava quelli  legati alla vita, al lavoro, alle tragedie sul e del mare. La sua opera Il ritorno dei naufraghi risalente al 1893 era stata apprezzata e premiata con il conferimento di un pensionato artistico che gli permise il perfezionamento dei suoi studi.

Archivio dell'Accademia di Belle Arti di Roma: Il ritorno dei naufraghi

Sono percepibili tuttavia anche attenti studi preliminari da un punto di vista più accademico e formale. Lo rivelano gli studi e i bozzetti che il  gruppo di studio ha potuto ottenere in visione dalla famiglia dell'artista o dal materiale depositato presso gli archivi dell'Accademia di Belle Arti di Roma dove l'artista prima studiò e poi insegnò.

Umberto Coromaldi. Bozzetti in preparazione dell'opera La mattanza dei tonni

Per contro i pannelli raffiguranti ritratti di pescatori vengono affrontati in maniera visibilmente diversa. Che siano raffigurati solo uomini era prevedibile, il lavoro delle donne era strettamente legato alla terra e non prevedeva parte attiva nelle catture,  ma in contrasto con il verismo dei grandi pannelli corali questi ritratti sono idealizzati. I pescatori vi appaiono nella cosidetta "nudità eroica", e i loro gesti sono in qualche modo enfatici, non del tutto naturali.

Non è dato di sapere se questa fu una scelta dell'artista o una precisa richiesta della committenza. Forse un sentito omaggio a una classe di lavoratori considerata umile che veniva si volle raffigurare in modo paragonabile a quello degli dei e degli eroi dell'antichità. Forse un allineamento alla corrente artistica del Novecento che in quegli anni si andava affermando, che reclamava un ritorno alla classicità.

Già abbiamo visto nell'opera Il ritorno dei naufraghi apparire molte donne, sempre protagoniste, anche se in modo meno palese, della epopea della pesca artigianale. Nello Sbarco del pescato appaiono uomini, la messa a terra fa parte delle loro responsabilità, e donne il cui compito è il trattamento e la commercializzazione.

Il duro e spesso lungo lavoro del pescatore artigianale e l'immagine che il pescatore ha di sé sono focalizzati sul battello, le reti e gli altri mezzi di cattura del pesce. Nella ripartizione dei compiti nella catena di valore spettava invece generalmente alle donne  del nucleo familiare il trattamento e la commercializzazione e viste le lunghe assenze dei uomini anche l'amministrazione dei beni.

Nonostante l'importante ruolo delle donne, occhi esterni rivolgono l'attenzione principalmente agli uomini e loro stessi si mettono bene in evidenza sia per le loro preziose competenze sia per i frequenti pericoli che affrontano in mare. Ma una merce cosi facilmente deperibile come il pesce perde rapidamente di valore se non commercializzato con competenza, e si produce oltre l'autoconsumo solo se c'è un mercato. Però i valori prevalentemente patriarcali della società fanno si che il cruciale lavoro delle donne sia spesso invisibile, poco valorizzato e addiritura non pagato.

Umberto Coromaldi. Sbarco del Pescato, particolare

A titolo di esempio ancora valido al giorno d'oggi, in un paese fortemente dipendente dalla pesca sia per l'alimentazione che per il commercio, ugualmente interno che verso i paesi limitrofi – il Senegal – la selezione e la commercializzazione del pescato, sia al minuto che all'ingrosso, sono affidati alle donne.

Saint Louis, Senegal. Aprile 2013

In una tela di autore ignoto, grossomodo coeva alla Mostra Etnografica del 1911, possiamo anche vedere delle donne intente a raccogliere dei molluschi. La tela è infatti intitolata La raccolta delle telline, bivalvi diffuse nel Mediterraneo, di dimensioni non grandi ma dall'intenso sapore e per questo molto ricercate. Al giorno d'oggi sono quasi introvabili sul mercato.

La raccolta delle Telline. Autore ignoto, 1900 circa

Del resto in alcune tipologie di pesca e in alcune parti del globo le donne avevano e hanno tuttora una parte attiva e importante. A solo titolo di esempio nella pesca nell'Oceano Pacifico è dovuto a loro il 56% del pescato. In Giappone, a parte l'antico esempio noto a molti delle pescatrici di perle ed altri ancora, abbiamo questa testimoniaza del sommo artista Hokusai: delle donne occupate nella pesca di orate.

Katushika Hokusai (1760-1849)

Per quanto rimanga un margine di incertezza, nel grande affresco La mattanza dei tonni di Pietro Barillà sulla parete del salone d'onore del Museo sembra apparire una donna, e questa volta impegnata – potremmo dire in prima linea – nella autentica sanguinosa battaglia che conclude la pesca dei tonni racchiusi nelle reti nell'angusto spazio delimitato dalle barche dei pescatori che viene chiamato camera della morte.

Pietro Barillà, La mattenza dei tonni. Particolare

Il Museo delle Civiltà di Roma è stato costituito anni or sono accorpando tre differenti musei tra loro adiacenti: il Museo preistorico ed etnografico Pigorini, il Museo dell'Alto Medioevo che raccoglie soprattutto importanti reperti degli insediamenti longobardi in Italia, e il Museo delle Arti e Tradizioni Popolari che nasce come sappiamo dalle ceneri della Esposizione del 1911.

Nel corso degli anni si sono poi qui trasferiti anche il Museo Orientale e il Museo Africano. Ha sede nel quartiere Eur in edifici approntati per quella che avrebbe dovuto essere nel 1942 l'Esposizione Universale di Roma. E' tuttora in corso di ampliamento e ristrutturazione, e raccoglie reperti legati al mare e alla pesca in diverse sue sezioni, come questa fotografia proveniente dall'archivio del fondatore Lamberto Loria risalente probabilmente al tardo 800.

Canoe (kepo) caratteristiche di Bula'a, Papua – Nuova Guine

Il CREA  (Consiglio per la Ricerca in agricoltura e l'analisi della Economia Agricola).  Ha sede a Roma presso la seicentesca palazzina Mattei, all'interno della omonima villa nei pressi del Colosseo che divenne poi Villa Celimontana. Accorpa numerosi centri di ricerca creati in Italia fin dai primi tempi dell'unità nazionale. Presso il CREA furono rinvenute le opere di Coromaldi, lì arrivate dopo diversi trasferimenti che ne avevano a un certo punto fatto perdere le tracce.

La sede del CREA nella storica Villa Celimontana

L'Istituto Centrale per il Restauro (ICR) nacque nel 1939 soprattutto per impulso dello studioso Giulio Carlo Argan che avvertiva la necessità, in una nazione che contava millenni di storia ed era stata crocevia di numerose differenti culture. Aveva tra gli obiettivi il potenziamento delle attività di tutela dei beni culturali, nonché la cura della centralizzazione e del coordinamento, e infine la creazione di un sistema certificatodi formazione degli operatori del restauro. La straordinaria abbondanza di beni culturali in Italia ha fatto sì che crescessero gradualmente sia l'importanza dell'Istituto che le competenze dei restauratori, al punto da divenire un indispensabile punto di riferimento per altri progetti di restauro in numerosi siti culturali nel mondo.

Ha sede attualmente nel complesso del San Michele, edificato in epoca e in stile barocco nel XVII secolo e ingrandito in seguito con l'aggiunta di diversi corpi di fabbrica. Era destinato ad accogliere minori in condizioni disagiate che avessero necessità di ricovero, sia in ospedale che in ospizio ma purtroppo anche in carcere. Fu questa l'unica funzione che mantenne a lungo, anche se mascherata col nome di riformatorio ossia di struttura dedicata alla redenzione e non alla punizione. Abbandonato negli anni successivi alla seconda guerra mondiale è stato sottoposto a lunghe e complesse operazioni di recupero, date anche le sue impressionanti dimensioni (oltre 300 metri per 80). E' è infine divenuto sede dell'Isitituto Centrale di Restauro.

E' necessario  porre l'accento sui legami del complesso – casuali? – con il mare, con le acque interne, con gli scambi culturali e commerciali tra esseri umani di culture diverse. Sorge infatti sulle rive del Tevere, in quel punto che fu sede quasi tremila anni fa dei primi incontri e scambi tra le comunitùà etrusche, sabine e latine che si sarebbero poi fuse dando vita alla città di Roma. Il lato dove sorge il San Michele apparteneva alla comunità etrusca, che commerciava soprattutto il sale proveniente dalla costa e trasportato fin là lungo il fiume, Fino a poco tempo fa la sponda opposta si chiamava appunto via della Salara vecchia e lì arrivavano dalla Sabina teorie di carri che trasportavano generi di scambio, per ripartire carichi di sale lungo la via che ancora oggi si chiama Salaria che arriva fino alla costa opposta sul mare Adriatico. I latini scndevano fin là dagli storici insediamenti sui colli Albani che guardano Roma dall'alto.

Per quanto fortemente diminuito col passare dei secoli il traffico fluviale è tuttavia continuato fino agli albori del XX secolo. In questa immagine di fine 800 vediamo appunto il maggiore porto fluviale di Roma, quello di Ripa Grande. Sullo sfondo, a sinistra, il complesso del San Michele. Per ulteriori dettagli sui collegamenti tra Roma e il mare, intensi fin dall'antichità, è disponibile su questo sito l'articolo La vivaria.

Foto di autore ignoto