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Daniele d'Antonio - Salvate i pesci piccoli oggi, o non avrete grandi pesci domani!

Fonte di ispirazione:

"Era un vecchio che pescava da solo su una barca a vela nella Corrente del Golfo ed erano ottantaquattro giorni ormai che non prendeva un pesce. Nei primi quaranta giorni lo aveva accompagnato un ragazzo, ma dopo quaranta giorni passati senza che prendesse neanche un pesce, i genitori del ragazzo gli avevano detto che il vecchio ormai era decisamente e definitivamente "salao", che è la peggior forma di sfortuna, e il ragazzo li aveva ubbiditi andando in un'altra barca che prese tre bei pesci nella prima settimana."

Ernest Hemingway, Il vecchio e il mare

 

Le mie fotografie da studio utilizzano spesso oggetti del vivere quotidiano, in ruolo di attori o scenografia, quasi sempre con un utilizzo differente dalla funzione per la quale sono stati costruiti seguendo spesso un percorso traspositivo volutamente più affine alla pittura allegorica che non alla fotografia in senso stretto. Il cibo è un altro elemento che utilizzo con frequenza nelle mie fotografie: frutta, verdura, ma anche fiori, piante e carni e pesci.

Il pesce, in particolare, per la grande capacità espressiva che può assumere in una fotografia da studio, ben si adatta a svolgere un ruolo da attore, assumendo comportamenti e pose umani, anzi, esaltando le contraddizioni ed esasperando gli aspetti della società. Questa foto è una anticipazione di un mio lavoro di prossima uscita, Pacfish, orientato sulla denuncia e sui rischi seri, serissimi, di catastrofe ecologica, ambientale ed umanitaria che incombono a livello globale, legati allo sfruttamento indiscriminato delle risorse marine attraverso l'overfishing, lo spreco, la contaminazione a causa dell'inquinamento, la distruzione dei fondali e delle aree di ripopolamento in tutti i mari del mondo.

Lo chiamo Pacfish, perchè il modus operandi dell'uomo nei confronti delle specie ittiche è il medesimo del Pacman, il celebre giochino elettronico, nato insieme ai personal computers agli inizi della attuale era informatica: un gioco senza alcuna strategia, dove l'obiettivo è distruggere, mangiare, consumare, quanti più elementi si trovano lungo il percorso del giocatore.

E' quanto stiamo facendo oggi con la pesca indiscriminata, con la distruzione e inquinamento di fondali e zone costiere, con la richiesta sempre maggiore di pescato, a fronte di un aumento vertiginoso di sprechi ed usi impropri dello stesso. E' un processo che sta portando ad impoverimento per quantità e varietà delle specie animali che popolano mari ed oceani, che si ritorce, ormai da anni, sull'uomo stesso, con riduzione progressiva della taglia dei pesci.

 Questo lavoro, come altri miei lavori recenti, accosterà le immagini a brani letterari, stimolando l'osservatore ad approfondimenti successivi.

Nei miei progetti artistici con temi etici, sociali o filosofici questo abbinamento mi offre lo spunto per suggerire al mio prossimo il mio pensiero di fondo: l'arte non deve o non dovrebbe essere confinata alla osservazione passiva, ma deve rappresentare un elemento di approfondimento culturale e riflessione. Solo in tal caso essa può arricchire lo spirito di chi la fa e di chi la utilizza. 


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Daniele D'Antonio, vive e lavora a Torino, Italia. Dopo una carriera professionale come geologo, ha intrapreso la propria attività artistica nel campo della fotografia e delle installazioni. Convinto assertore che ogni forma d'arte e di approfondimento culturale non siano semplicemente un accessorio della società ma che ne rappresentino uno dei motori più importanti, oltre ai propri progetti artistici oggi propone questo tipo di produzione ad Aziende ed Istituzioni che intendano motivare il mondo esterno su livelli più elevati che non la semplice promozione commerciale del classico advertising.

 

www.dantoniodaniele.it

 

 

 


 Intervista con Daniele D'Antonio, artista fotografo in Torino

 

Anna Balzarini ha curato le domande. E' geologa esperta di ambiente ed acqua. Nel suo lavoro ha dedicato molta attenzione all’educazione dei giovani e ai problemi ambientali che sta attraversando il nostro pianeta; recentemente ha casualmente rivisto un vecchio collega geologo, da sempre appassionato di fotografia, che nel frattempo è diventato un fotografo professionista dotato di particolare sensibilità. Le sue foto l'hanno subito colpita ed l’ha incontrato per capire la sua arte e per capire le possibili interconnessioni con la ricerca scientifica. Vedendo le affinità con i concetti e obiettivi di Mundus maris, Anna ha intervistato Daniele in modo che si capisca non solo come lavora un artista fotografo, che l’arte non è solo quella che si vede nelle gallerie, ma in ogni suo particolare, l’arte si incontra nel mondo che ci circonda!

 

AB: Chi sei e cosa fai?

DDA: Mi chiamo Daniele D’Antonio, sono italiano e vivo a Torino, vicino alle Alpi. Sono sposato ed ho 2 figli. La mia professione attuale è fotografo. Ma in realtà sono un artista che svolge la propria attività attraverso la fotografia e le installazioni. Lavoro per progetti autonomi e su commissione, sono sensibile alle tematiche esistenziali, sociali, etiche, che amo rappresentare nei miei lavori.

AB: Qual è il tuo background?

DDA: :Ho una formazione tecnico-scientifica, geologo, laureato in Geologia all'Università di Torino, attività che ho svolto ininterrottamente fino a poco tempo fa. Sin dai miei studi superiori tuttavia, non ho mai tralasciato la passione e l'amore per l'arte e per le letture umanistiche, convinto che siano un elemento importante nell'evoluzione personale di ognuno di noi.

AB: Quali altri lavori hai fatto oltre che essere un artista?

DDA: La mia carriera professionale è stata in gran parte orientata alle attività tecnico-scientifiche collegate al mestiere del geologo. Negli scorsi vent'anni ho fondato, diretto e gestito tre imprese specializzate, operanti nella progettazione di infrastrutture e grandi progetti di opere pubbliche. Un mondo popolato da persone ed interessi che sono quanto di più lontano dal mondo dell'arte, e dalla sensibilità necessaria per poterla apprezzare, almeno in Italia.

AB: Quale è stata la tua prima esperienza fotografica che ti ha fatto avvicinare alla fotografia artistica?

DDA: Non esiste un momento particolare che io possa definire come l'inizio della mia attività artistica con la fotografia. Potrei dire che è stato un percorso progressivo, nel quale ciò che desideravo esprimere per immagini non sempre apparteneva alla percezione del mondo reale così come siamo soliti osservarlo, e via via, affinando l'utilizzo della mia tecnica fotografica, sono riuscito ad esprimere concetti e situazioni in modo progressivamente sempre più compiuto.

AB: In che modo lavori?

DDA: Solitamente i miei progetti fotografici più articolati nascono da una suggestione iniziale, alla quale fa seguito una domanda: “è un tema che ha più chiavi di lettura, più situazioni rappresentabili?” se sì, comincia a prendere forma il progetto nella sua completezza. La creazione delle immagini necessarie è quasi istintiva: delle volte ho quasi la sensazione che gli oggetti che utilizzerò mi si presentino di fronte e mi chiedano di poter lavorare con me. In questi momenti cerco di essere il più ricettivo possibile a stimoli e suggestioni esterne, suggerendomi essi stessi il ruolo che nella finzione scenica intendono ricoprire. L'immagine finale nasce quasi di conseguenza.

AB: Cosa ti diverte di più nel tuo lavoro?

DDA: L'assoluta libertà di creare situazioni illustranti concetti, anche astratti, con un approccio molto più simile forse alla pittura che non alla fotografia in senso stretto. Della fotografia in generale, mi affascina la possibilità di fissare la mia interpretazione e i miei punti di vista su quanto mi capita di fotografare, sia che si tratti di immagini studiate, che di reportages, ritratti, ambienti naturali o determinati dalla presenza dell'uomo.

AB: Quali temi ami perseguire?

DDA: La mia produzione artistica è principalmente orientata alla realizzazione di immagini da studio, dove con tecniche analoghe alla creazione pittorica, cerco di rappresentare per immagini concetti filosofici, etici, sociali, utilizzando oggetti del vivere quotidiano, operando una trasposizione dalle loro funzioni originarie ad un ruolo di attori o contesti scenografici. La metafora ed il paradosso sono elementi che mi affascinano per la loro capacità di far arrivare I messaggi contenuti direttamente al cuore della gente.

AB: Hai una foto artistica preferita?

DDA: No, amo molti autori, dai grandi a quelli sconosciuti, per elementi peculiari della loro sensibilità artistica spesso anche molto distanti tra loro. Nella comunicazione visiva, come nel caso della fotografia, spesso le chiavi di lettura sono molteplici e medesimi messaggi possono essere veicolati attraverso tipologie di immagini differenti. Per questo motivo non mi sento legato a fotografi d'arte specifici, ma neanche a fotografi specifici in generale. La cosa importante penso che resti la predisposizione ad accogliere il messaggio.

AB: Descrivi una situazione di vita reale che ti ha ispirato?

DDA: Un mio recente progetto fotografico, "Greenchronicles", è nato proprio dall'osservazione di fatti di cronaca italiana avvenuti nell'inverno-primavera del 2010: la lettura di quotidiani e televisione mi ha offerto uno spunto per illustrare attraverso le tecniche dello still-life le vicende politiche e sociali italiane del periodo, attraverso la mia personale interpretazione dei fatti. E' stato il primo lavoro nel quale ho dichiarato esplicitamente l'intenzione di trasposizione di funzione degli elementi presenti all'interno dell'immagine costruita, rendendolo una specie di mio personale format fotografico.

AB: Qual è stato il momento più imbarazzante nella tua carriera?

DDA: Sicuramente il dover ammettere a me stesso che il mestiere che amavo e che avevo scelto si era ridotto ad una semplice pedina in mano ad altri interessi e che nulla di ciò che facevo portava ad un risultato che valesse la pena di essere trasmesso ad altri.

AB: Perché fotografo artista?

DDA: Probabilmente perchè continuo a pensare che se avessi intrapreso una carriera di studi diversa da quella che ha caratterizzato la mia vita, probabilmente avrei fatto il pittore sin da giovane. La fotografia è una antica passione, ma solo tardivamente mi sono reso conto che attraverso la fotografia, forse inconsciamente coltivata, potevo esprimere me stesso con il medesimo approccio di un pittore e quindi mi sono ritrovato ad utilizzarla come mio personale e naturale mezzo d'espressione.

AB: Quali cibo, bevande, canzone ti ispira?

DDA: Nei miei lavori più recenti sul cibo, ho utilizzato quasi esclusivamente prodotti dell'area mediterranea, un pò per scelta, un pò per un antico richiamo alle mie personali radici, che mi legano a questa parte di mondo e che considero una mia componente fondamentale. Il vino italiano di qualità è sicuramente in cima alla classifica delle bevande. Non credo sia necessariamente un ispiratore, ma di sicuro è ottimo per affinare lo stato percettivo nel momento in cui creo. Non ci sono canzoni, o musica preferite. Come la letteratura, non ho preclusioni di generi: utilizzo testi di ogni tempo e di ogni luogo per accompagnare le mie immagini e allo stesso modo mi comporto così con la musica. Dalla lirica a quella pop, dal jazz a quella africana ed etnica di ogni parte del mondo, la musica ha le stesse capacità di una immagine di entrare nelle profondità dell'animo umano. L'accoppiata musica-immagini per me è uno degli strumenti più potenti che abbiamo a disposizione per sollecitare il nostro io interiore.

AB: La vita da artista è da solitario?

DDA: No assolutamente, anzi. Un artista è « geneticamente » orientato allo scambio, al dialogo, alla condivisione di temi, concetti, ideali e tante altre cose ancora. Essere artisti oggi è forse il modo migliore per aprire la mente all'incontro di persone e culture spesso molto differenti dalla nostra. L'arte e la cultura in generale sono il mezzo per la diffusione del pensiero e rappresentano un ponte reale, concreto, tra società, culture, tradizioni differenti. Esiste un momento in cui sì, sono solitario, ed è il momento in cui realizzo le mie opere in studio : qui lascio libera la mente di visualizzare e concretizzare ciò che sto creando, indipendentemente dalla presenza fisica o meno di altre persone intorno a me, per sfruttare in pieno le suggestioni che mi si presentano durante l'atto creativo.

AB: Che cosa non ti piace dell’arte fotografica nel mondo?

DDA: Alcuni degli elementi che sono comuni a tutte le forme espressive dell'arte contemporanea : la tendenza alla chiusura elitaria, per assenza di un linguaggio comune, comprensibile a tutti, che spesso caratterizza opere e artisti in molti settori e, per contro, la ripetitività di certi canoni stilistici, senza il desiderio da parte di tanti artisti di ricercare e sperimentare vie nuove di comunicazione e rappresentazione, preferendo rimanere sul conosciuto o sul provocatorio fine a se stesso.

AB: Qual’è il ruolo dell’arte nel mondo scientifico?

DDA: Credo sia fondamentale, oggi, non solo nel mondo scientifico, ma in tutti i settori della società civile. Gli artisti e gli intellettuali credo che oggi abbiamo una missione da compiere, assumendosene il peso di questa grande responsabilità. Nell'odierna epoca della comunicazione l'arte è essa stessa comunicazione. A differenza dell'universo dei media di tutti i tipi, l'arte ha il potere di essere libera, universale, trasversalmente superiore alle differenze di censo, storia, regime, cultura e tradizione tra le diverse persone e i diversi popoli. E' lo strumento di comunicazione più democratico che io conosca, ed è quello che, tra tutti, può arrivare più in profondità nell'animo umano. La scienza ha bisogno di comunicazione: è grazie alla comunicazione che si può creare la conoscenza condivisa, l'accettazione, lo sviluppo della ricerca, la comprensione del ruolo che gli uomini stanno giocando su questo pianeta e sulle previsioni legate all'impatto che le nostre attività hanno e avranno sul futuro della Terra.

AB: Che ruolo ha la fotografia nella società?

DDA: Noi viviamo nella civiltà delle immagini. La fotografia ha un ruolo fondamentale, tuttavia è profondamente svilita, come tutto ciò che ci circonda, ridotto al ruolo di usa e getta. Le potenzialità dell'immagine vengono utilizzate per creare un rumore di fondo nella comunicazione francamente assordante, col risultato di generare assenza di comunicazione. Paradossalmente l'eccesso di comunicazione visiva di infima qualità porta al progressivo imbarbarimento e decadimento della capacità di « leggere » un'immagine da parte dei più. I messaggi spesso importanti che le immagini contengono vengono sepolti quasi sempre dalla spazzatura che li circonda e dall'incuria mentale delle persone. La fotografia, ma tutta l'arte in generale, ha bisogno oggi di un nuovo rinascimento culturale, che abbia come primo obiettivo elevare la capacità delle persone di leggere ed osservare e non solo vedere, di ascoltare e non solamente sentire, di dialogare e non solamente parlare, di condividere il sapere e non solamente immagazzinare passivamente informazioni. Il ruolo dell'arte e della cultura, fotografia compresa, è anche questo.

AB: Il progetto dei tuoi sogni?

DDA: Alcuni, nel corso della storia, hanno detto: «C’è sempre un sogno dietro ogni impresa, ma se il sogno persiste un giorno diventa realtà ». E' una frase che amo molto, perchè mi ci riconosco in pieno. Ho molti sogni, e so che alcuni diventeranno progetti probabilmente realizzabili così come molti miei sogni in passato sono diventati realtà. Un mio antico sogno, parzialmente realizzato, per certi versi, è la realizzazione di una specie di hub artistico e culturale, per usare una definizione oggi di moda, dove artisti e intellettuali possano incontrarsi e produrre arte e cultura e dove la gente possa ritrovarsi per utilizzarla, senza vincoli di tipo espressivo o sociale, o di altro genere, senza intermediazioni, con la possibilità di scambio di ruoli. Un luogo non associato ad un solo territorio, dove chi fruisce dell'arte possa a sua volta proporre la propria, di arte: il ponte perfetto tra le persone.

AB: Professionalmente hai un obiettivo? Se si, quale?

DDA: Non mi pongo obiettivi definiti a priori. Dopo tanti anni ho raggiunto la consapevolezza di trovarmi lungo un percorso di maturazione personale, iniziato chissà quando e diretto chissà dove. Penso che raggiungere questa consapevolezza sia stato di per sè un gran risultato, oltre le aspettative un gran numero di persone. Penso che fare arte rappresenti il modo migliore per proseguire in modo consapevole questo percorso. Se proprio devo pensare a qualcosa di utile, mi piacerebbe che quel che sto facendo potesse essere usato al di là della mia persona, lasciando una traccia che serva agli altri per proseguire i propri percorsi.

Recentemente, quando ho scoperto il lavoro di Mundus maris, i sui concetti e progetti, mi piaceva. Mi posso vedere interagire anche con le persone che tirano avanti le attività. Mi hanno aiutato a diventare più consapevoli del mare e delle minacce che i esseri umani comportano per la vita dentro e intorno al mare. È per questo che stiamo lavorando su una mostra fotografica sul mare “scienza con le arti” ispirato dal gioco elettronico pacman, uno dei primi. La mia arte potrà aiutare i visitatori ad avvicinarsi alla comprensione scientifica in modi nuovi. Speriamo che sarà un sogno che si avvera presto.

AB: Daniele, grazie per condividere i tuoi pensieri e progetti.